venerdì 24 gennaio 2014

Tumore da amianto, si muore ancora e si prevede un aumento di casi


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Mutti (Osservatorio Amianto): “Era la malattia degli operai, ora riguarda anche gli insegnanti”
Per il mesotelioma la ricerca punta su prevenzione e immunoterapia

Roma - Esistono ancora oggi operai delle acciaierie o delle industrie siderurgiche che sono a contatto quotidiano con le fibre di amianto: i casi più noti, come quello dell’Ilva di Taranto balzato agli onori della cronaca negli ultimi mesi. Ma ci sono anche i comuni cittadini, esposti inconsapevolmente all’inquinamento ambientale o alle emissioni da edifici – generalmente pubblici – i cui materiali di costruzione contengono l’amianto. Non da ultima una raccolta dati di Legambiente, per stabilire la sicurezza delle scuole: risultate troppo vecchie e fatiscenti in molte città, in alcune persiste ancora il rischio amianto.



E’ ormai noto che le fibre d’amianto, penetrando nei polmoni perché volatili, abbiano un’azione cancerogena sul rivestimento della cavità toracica (il mesotelio), sfociando in mesotelioma pleurico.

Gli strumenti per rilevare il ‘pericolo’ di amianto in un ambiente ci sono e, di conseguenza, anche la possibilità di tutelare la salute di cittadini e lavoratori. Mancano, invece, terapie efficaci e, ad oggi, il mesotelioma risulta ancora incurabile. Ne parliamo con Luciano Mutti, che coordina il Dipartimento Ricerca e Cura del Mesotelioma dell’Osservatorio Nazionale Amianto.

Nel nostro Paese oggi si registrano 1.200 casi all’anno, quali le previsioni per il futuro?

Negli ultimi anni si è verificato un lieve e costante incremento nel numero dei casi. Anche se l’accuratezza diagnostica non è ancora ottimale, i medici sono più informati e hanno imparato a riconoscere la malattia, migliorando quindi l’approccio diagnostico. Secondo le previsioni epidemiologiche, il numero dei casi aumenterà nel prossimo decennio. Purtroppo l’incidenza coincide ancora con la mortalità a causa della prognosi infausta associata alla neoplasia.

Come ci si ammala? È necessaria un’esposizione cronica all’amianto?

Non esiste una ‘dose killer’, come erroneamente è stato riportato in alcune cause legali per l’asbestosi. In realtà, il fattore di rischio è una dose cumulativa di esposizione. Ma nessuno è in grado di stabilire né quale sia il limite massimo tollerato dall’organismo prima che si inneschi una proliferazione cellulare tumorale, né il tempo espositivo che in grado di aumentare la probabilità di ammalarsi. Esistono casi di tumore ricondotti a un’esposizione all’amianto molto breve, difficile stabilire dei parametri perché sono molto variabili a livello individuale.

Vale sia per l’esposizione diretta che per quella ambientale?

Sì, ma nel caso dell’esposizione ambientale è provato che siano necessari tempi più lunghi.

Quali sono le categorie più a rischio?

Qualche decennio fa si vedevano molti casi tra i chi lavorava nelle fabbriche di amianto. Oggi invece il mesotelioma è più diffuso tra chi svolge lavori manuali come elettricisti, meccanici, muratori. Si registra un’incidenza significativa anche tra bidelli e insegnanti: questo a causa della presenza di amianto in alcuni edifici pubblici di costruzione datata, coibentati con l’asbesto.

Si può capire se un ambiente è inquinato dall’amianto?

Esiste la possibilità di fare prelievi ambientali per valutare l’inquinamento di fibre aeree in ambienti presumibilmente esposti a questo rischio, come in alcune fabbriche o nelle aree limitrofe. Non è possibile, invece, valutare se le fibre di amianto si sono depositate nel tessuto polmonare delle persone esposte a questo rischio e se indurranno modificazione tumorale.

Alcuni individui sono più ‘predisposti’ di altri a sviluppare mesotelioma?

Dal punto di vista genetico esistono profili di suscettibilità che rendono alcune persone più a rischio di manifestare la neoplasia rispetto ad altre, a parità di esposizione all’amianto. Si stanno studiando  queste mutazioni e si sta cercando di individuare quali siano i geni ‘driver’, ovvero quelli che spingono le cellule del mesotelio a trasformarsi in cellule tumorali.

Ad oggi non esiste terapia efficace per il mesotelioma: quali le prospettive per il futuro?

Il mesotelioma è un tumore particolare, caratterizzato da una proliferazione molto lenta: per questo ha un tempo di latenza tra i 20 e i 50 anni. Il metabolismo rallentato delle cellule tumorali le fa diventare resistenti alle cosiddette target therapy, ovvero i farmaci che hanno dimostrato maggiore efficacia negli ultimi anni per altre forme di cancro. Recentemente la ricerca ha ottenuto risultati incoraggianti dall’immunoterapia, che sfrutta la capacità del mesotelioma di indurre una risposta immunitaria. Un’altra chiave è nel metabolismo e nel microambiente del mesotelioma, per bloccare la crescita delle cellule tumorali dall’interno facendo leva sulle molecole energetiche utilizzate come il glucosio: sono già in corso studi in questa direzione, di prossima pubblicazione.

Il mesotelioma si manifesta dopo molti anni, è possibile fare diagnosi precoce?


No, siamo ancora lontani da una diagnosi precoce. Sono state studiati alcuni marker molecolari, come la fibulina ma non siamo ancora in grado di fare una diagnosi precoce su marcatori ematici. Pochi i dati sulla tac a bassa intensità, che potrebbe invece dare utili informazioni sui pazienti: servirebbe uno studio di popolazione ad hoc ma data la bassa incidenza della malattia non è ancora stato possibile farlo.

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