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Mutti (Osservatorio Amianto):
“Era la malattia degli operai, ora riguarda anche gli insegnanti”
Per il mesotelioma la ricerca
punta su prevenzione e immunoterapia
Roma - Esistono ancora oggi
operai delle acciaierie o delle industrie siderurgiche che sono a contatto
quotidiano con le fibre di amianto: i casi più noti, come quello dell’Ilva di
Taranto balzato agli onori della cronaca negli ultimi mesi. Ma ci sono anche i
comuni cittadini, esposti inconsapevolmente all’inquinamento ambientale o alle
emissioni da edifici – generalmente pubblici – i cui materiali di costruzione
contengono l’amianto. Non da ultima una raccolta dati di Legambiente, per
stabilire la sicurezza delle scuole: risultate troppo vecchie e fatiscenti in
molte città, in alcune persiste ancora il rischio amianto.
E’ ormai noto che le fibre d’amianto,
penetrando nei polmoni perché volatili, abbiano un’azione cancerogena sul
rivestimento della cavità toracica (il mesotelio), sfociando in mesotelioma
pleurico.
Gli strumenti per rilevare il
‘pericolo’ di amianto in un ambiente ci sono e, di conseguenza, anche la
possibilità di tutelare la salute di cittadini e lavoratori. Mancano, invece,
terapie efficaci e, ad oggi, il mesotelioma risulta ancora incurabile. Ne
parliamo con Luciano Mutti, che coordina il Dipartimento Ricerca e Cura del
Mesotelioma dell’Osservatorio Nazionale Amianto.
Nel nostro Paese oggi si
registrano 1.200 casi all’anno, quali le previsioni per il futuro?
Negli ultimi anni si è verificato
un lieve e costante incremento nel numero dei casi. Anche se l’accuratezza
diagnostica non è ancora ottimale, i medici sono più informati e hanno imparato
a riconoscere la malattia, migliorando quindi l’approccio diagnostico. Secondo
le previsioni epidemiologiche, il numero dei casi aumenterà nel prossimo
decennio. Purtroppo l’incidenza coincide ancora con la mortalità a causa della
prognosi infausta associata alla neoplasia.
Come ci si ammala? È necessaria
un’esposizione cronica all’amianto?
Non esiste una ‘dose killer’,
come erroneamente è stato riportato in alcune cause legali per l’asbestosi. In
realtà, il fattore di rischio è una dose cumulativa di esposizione. Ma nessuno
è in grado di stabilire né quale sia il limite massimo tollerato dall’organismo
prima che si inneschi una proliferazione cellulare tumorale, né il tempo
espositivo che in grado di aumentare la probabilità di ammalarsi. Esistono casi
di tumore ricondotti a un’esposizione all’amianto molto breve, difficile
stabilire dei parametri perché sono molto variabili a livello individuale.
Vale sia per l’esposizione
diretta che per quella ambientale?
Sì, ma nel caso dell’esposizione
ambientale è provato che siano necessari tempi più lunghi.
Quali sono le categorie più a
rischio?
Qualche decennio fa si vedevano
molti casi tra i chi lavorava nelle fabbriche di amianto. Oggi invece il
mesotelioma è più diffuso tra chi svolge lavori manuali come elettricisti,
meccanici, muratori. Si registra un’incidenza significativa anche tra bidelli e
insegnanti: questo a causa della presenza di amianto in alcuni edifici pubblici
di costruzione datata, coibentati con l’asbesto.
Si può capire se un ambiente è
inquinato dall’amianto?
Esiste la possibilità di fare
prelievi ambientali per valutare l’inquinamento di fibre aeree in ambienti
presumibilmente esposti a questo rischio, come in alcune fabbriche o nelle aree
limitrofe. Non è possibile, invece, valutare se le fibre di amianto si sono
depositate nel tessuto polmonare delle persone esposte a questo rischio e se
indurranno modificazione tumorale.
Alcuni individui sono più
‘predisposti’ di altri a sviluppare mesotelioma?
Dal punto di vista genetico
esistono profili di suscettibilità che rendono alcune persone più a rischio di
manifestare la neoplasia rispetto ad altre, a parità di esposizione
all’amianto. Si stanno studiando queste
mutazioni e si sta cercando di individuare quali siano i geni ‘driver’, ovvero
quelli che spingono le cellule del mesotelio a trasformarsi in cellule
tumorali.
Ad oggi non esiste terapia
efficace per il mesotelioma: quali le prospettive per il futuro?
Il mesotelioma è un tumore
particolare, caratterizzato da una proliferazione molto lenta: per questo ha un
tempo di latenza tra i 20 e i 50 anni. Il metabolismo rallentato delle cellule
tumorali le fa diventare resistenti alle cosiddette target therapy, ovvero i
farmaci che hanno dimostrato maggiore efficacia negli ultimi anni per altre
forme di cancro. Recentemente la ricerca ha ottenuto risultati incoraggianti
dall’immunoterapia, che sfrutta la capacità del mesotelioma di indurre una
risposta immunitaria. Un’altra chiave è nel metabolismo e nel microambiente del
mesotelioma, per bloccare la crescita delle cellule tumorali dall’interno
facendo leva sulle molecole energetiche utilizzate come il glucosio: sono già
in corso studi in questa direzione, di prossima pubblicazione.
Il mesotelioma si manifesta dopo
molti anni, è possibile fare diagnosi precoce?
No, siamo ancora lontani da una
diagnosi precoce. Sono state studiati alcuni marker molecolari, come la
fibulina ma non siamo ancora in grado di fare una diagnosi precoce su marcatori
ematici. Pochi i dati sulla tac a bassa intensità, che potrebbe invece dare
utili informazioni sui pazienti: servirebbe uno studio di popolazione ad hoc ma
data la bassa incidenza della malattia non è ancora stato possibile farlo.
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