giovedì 24 luglio 2008

Materiale tratto da Amiantomaipiù


PROCESSO FINCANTIERI PER CASI DI AMIANTO
La sentenza di Venezia, una sentenza che insegna.
Nella nebbia del cantiere navale, fatta di polvere, polvere bianca e grigia, polvere nera, si solleva uno spiraglio di luce. Quella luce non la vedono i lavoratori che sono stati saldatori, coibentatori, allestitori, elettricisti, manutentori.
La vedono i loro familiari, che sono in un'aula giudiziaria oggi, presenti per quei lavoratori e anche per se stessi, persone che hanno vissuto sofferenze e dolori e che oggi uno spiraglio lo intravedono. L'aula giudiziaria è l'aula bunker di Mestre, il processo penale celebrato per quattro anni è quello che ha riguardato sette dirigenti della Breda-Fincantieri. La sentenza è una sentenza di condanna.
Il 22 luglio 2008 il Giudice monocratico penale del Tribunale di Venezia, Barbara Lancieri, ha sancito la responsabilità penale di sette dirigenti ( l'attuale Presidente di Fincantieri, Corrado Antonini, i dirigenti Mario Bigi, Enrico Bocchini, Antonino Cipponeri, Rinaldo Gastaldi, Marcello Olivi, Carlo Maria Ramacciotti) per gli omicidi colposi di 11 lavoratori del cantiere navale di Porto Marghera e di 3 mogli di lavoratori, condannandoli alla pena della reclusione da 2 anni e 8 mesi fino a 3 anni e 8 mesi.
E' la prima sentenza a Venezia, la prima sentenza penale a Venezia che riguarda Fincantieri. E' una sentenza che costituisce una svolta importante nell'immensa e ancora sommersa tragedia delle morti causate dall'esposizione ad amianto.
E', per tanti versi una sentenza pilota.Il processo è stato lungo, difficile, articolato.
Il suo esito dice chiaramente una cosa importante: non si può morire di lavoro, per il lavoro.
Non si può pensare che il lavoro sia il luogo che segna il destino della vita di una persona, il luogo che ne provoca l'irrimediabile malattia, una malattia senza scampo, il luogo che non lascia nemmeno il tempo di godere di un morso di vita che ancora resta per vivere lontano dalla fabbrica, dopo che vi si è dedidacata tutta la propria giovinezza.La sentenza del 22 luglio 2008 dice che non può accadere tutto questo e nel contempo che nessuno ne possa rispondere.
Nove lavoratori di Finacntieri di Porto Marghera sono morti di mesotelioma pleurico, due di adenocarcinoma del polmone: lavoravano con le mani e il respiro sommersi dall'amianto, costruivano le navi dell'azienda leader del settore cantieristico navale italiano e non sapevano che quel minerale avrebbe annientato la loro vita, aspirato la loro salute senza dare via di scampo.Questa sentenza ha detto ancora una cosa molto importante: tra le persone decedute c'erano 3 donne, 3 mogli di lavoratori, si chiamavano Iolanda Gianni, Guerrina Pizzato, Cecilia De Pieri. Si sono ammalate e sono morte, tutte e tre, di mesotelioma pleurico.
Lavavano le tute dei loro mariti, saldatori o elettricisti del cantiere lagunare, tutti i venerdì strofinavano la tuta impregnata di quella polvere bianca; lo hanno fatto per anni, per decenni. Non avevano mai messo piede nel cantiere navale, ma lavare gli indumenti dei mariti è stata la condanna per la loro vita.
Questa sentenza ha detto che per quelle morti esistono dei responsabili.Sapevano quei dirigenti, sapeva quell'industria, da decenni, che l'amianto provocava tumori del polmone e della pleura. Sapevano ma non hanno fatto nulla.
Non hanno mai fornito mezzi di protezione personale, non hanno mai installato aspiratori delle polveri, non hanno mai informato i lavoratori dei pericoli legati alla lavorazione dell'amianto, non hanno mai nemmeno ipotizzato l'uso di materiali alternativi per la costruzione delle loro navi.
Non hanno rispettato, hanno violato ripetutamente le leggi vigenti da oltre cinquant'anni nel nostro paese. Hanno ignorato la comunità scientifica internazionale che aveva lanciato allarmi sin dall'inizio del secolo scorso sulla micidiale pericolosità dell'amianto per la salute umana.
Oggi un Tribunale italiano sancisce una responsabilità collettiva: è il segnale che, laddove non si è voluto prevenire, interviene la semplice, chiara, precisa applicazione della legge.
Spero che questo sia il segnale per altre realtà industriali ed umane dove la morte per amianto ha causato e tuttora produce le sofferenze di intere comunità.
Penso a Monfalcone, penso a Casale Monferrato, penso alle altre realtà sparse nel paese, dove le persone-troppe-sono ancora all'oscuro del fatto che c'è una spiegazione della loro malattia. E non è il destino della natura.
L'avventuristica produzione industriale che ha pensato di beffarsi della vita di chi lavorava per il suo progresso economico. Il suo progresso. Ma il progresso umano, qualche volta, come è accaduto oggi, trova quella ragione che nessun progresso industriale potrà soffocare.
Quelle 14 persone, a Porto Marghera, sono la ragione per continuare a lottare.
La vita delle persone non ha prezzo.
Il lavoro non ha prezzo.
Le generazioni che oggi si affacciano al lavoro e quelle che verranno devono sapere che lavoro e vita, lavoro e salute, vanno di pari passo. Un paese che si chiami civile deve saperlo.
Silvia Manderino - avvocato di parte civile.
Tratto dal sito: Articolo 21 Liberi di

1 commento:

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)